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Ossa della Terra

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1. Caccia alla preda

Washington, D.C. Era cenozoica. Periodo quaternario. Epoca olocenica. Età moderna. 2010 D.c.

Se di questa storia intricata si volesse proprio cercare un inizio, si potrebbe scegliere quel pomeriggio freddo e tempestoso di fine ottobre, quando nell’ufficio di Richard Leyster entrò l’uomo col refrigeratore portatile. Salutò con una robusta stretta di mano e con noncuranza, senza chiedere permesso, posò il refrigeratore su un tavolo, fra un tirannosauro gonfiabile verdolino e un vassoio con un assortimento di denti di adrosauro. Rivolse a Leyster un sorriso privo di calore. Disse di chiamarsi Griffin e di essere venuto a offrire a Leyster un nuovo lavoro.

Leyster rise; tornò a sedersi sul bordo della scrivania e mise da parte, senza nemmeno guardarlo, il biglietto da visita di Griffin. — Non poteva scegliere un momento peggiore per una proposta di lavoro.

— Davvero? — disse Griffin. Spostò da una sedia al pavimento una pila di scatole di AutoCAD. Indossava un abito dall’aria costosa; appena seduto, si lisciò i calzoni sulle ginocchia per non sgualcirli. Aveva una faccia inespressiva. — Come mai?

— Tanto per cominciare, lo Smithsonian mi ha dato l’attuale incarico ancora prima che terminassi il corso di dottorato. Un grosso onore: farei davvero la figura dell’ingrato, se me ne andassi dopo meno di tre anni. Capisco che lei mi offra più soldi…

— Non ho ancora parlato di stipendio.

— Allo Smithsonian sanno bene quale onore sia lavorare per loro — ribatté Leyster, sarcastico. — Un nostro tecnico, come secondo lavoro, vende bibite durante le partite degli Orioles. Indovini quale gli rende di più.

— Ci sono altri incentivi, oltre ai soldi.

— Proprio per questo spreca il suo tempo. L’estate scorsa mi trovavo in uno scavo nel Wyoming, dove abbiamo scoperto una pista che… be’, è il genere di ritrovamenti che si presenta una sola volta nella vita e solo se si è fortunati. Qualsiasi cosa mi offra, non mi ripagherebbe, se lasciassi perdere.

Per un lungo momento Griffin non disse niente. Si girò sulla sedia e guardò dalla finestra. Seguendo il suo sguardo, Leyster vide solo il cielo buio, le lucide tegole arancione sui tetti di fronte, i taxi che si lasciavano dietro grigi pennacchi di fumo lungo Constitution Avenue, le foglie bagnate incollate al vetro.

Poi Griffin tornò a girarsi e chiese: — Potrei vedere di che si tratta?

— Le interessa davvero? — si stupì Leyster. Griffin non aveva l’aria del tipo che s’interessa alle ricerche sul campo. Del burocrate, piuttosto, o del funzionario, dell’organizzatore. Del politico, forse. Non dello scienziato. Infatti, a differenza di uno scienziato, aveva combinato l’incontro tramite l’amministrazione del museo, anziché sbandierare il nome di un comune collega e la propria competenza professionale. Leyster aveva ricevuto la telefonata di un funzionario di medio livello del quale non ricordava nemmeno il nome: un tale aveva fatto pressione su qualcuno più in alto… e Leyster, per non sorbirsi tutta la spiegazione, si era rassegnato all’appuntamento.

— Non lo chiederei, altrimenti — replicò Griffìn.

Con una scrollata di spalle mentale, Leyster accese il computer e lanciò il programma per la ricostruzione della pista, inviando l’immagine su un monitor ad alta risoluzione appeso alla parete. L’immagine era tanto dettagliata quanto permetteva la tecnologia più moderna. Leyster aveva fornito fotografie multiple di ogni impronta e Ralph Chapman, il tecnico con l’ufficio in fondo al corridoio, aveva elaborato un sottoprogramma 3-D di congiunzione e allineamento. Il video iniziava dall’estremità della pista.

— Cosa vede? — chiese Leyster.

— Impronte — rispose Griffin. — Nel fango.

— Lo erano, un tempo. Per questo sono così interessanti. Le ossa fossili sono la testimonianza di un animale morto. Ma impronte come quelle sono opera di animali viventi. Animali ben vivi, il giorno in cui le hanno lasciate. E per uno di loro quel giorno fu decisivo. Seguiamo la pista.

Teneva la mano sul mouse per far scorrere le immagini mentre parlava. — Centoquaranta milioni dì anni fa, un Apatosaurus… noto come Brontosaurus prima che il taxon fosse differenziato… passeggia sulla sponda di un lago poco profondo. Guardi come sono regolari le impronte. L’apatosauro se ne va a zonzo, tranquillo. Ancora non si rende conto d’essere braccato.

Mentre Leyster faceva scorrere le immagini, Griffin, serio, congiunse le mani. Erano enormi, anche per uno della sua corporatura, e stranamente espressive.

— Adesso guardi questi gruppi di impronte più piccole, qui e qui; escono dalla foresta e proseguono ai lati delle orme dell’apatosauro. Appartengono a due Allosaurus fragilis in caccia. Dinosauri assassini lunghi dodici metri, con enormi artigli affilati nelle zampe anteriori e posteriori, e denti come pugnali seghettati. Si muovono più rapidi della loro preda, ma ancora non corrono: si avvicinano furtivamente. Si sono già disposti in modo da assalirla da entrambi i lati.

“Qui l’apatosauro si rende conto del pericolo. Forse ha fiutato gli allosauri perché il vento è cambiato. Forse ha udito le urla di questi ultimi che si lanciano all’attacco. Non lo sapremo mai. Non c’è traccia fossile di ciò che l’ha messo in allarme.

“Ora l’apatosauro fugge. La distanza fra le orme aumenta. E qui, più indietro, si verifica la stessa cosa per le orme degli allosauri. I due sono scattati a tutta velocità. Vanno alla carica, come un leone che si lanci sulla preda; solo che la loro preda è grossa come una montagna e i due allosauri sono tanto grandi e feroci da mangiarsi un leone come spuntino.

“Adesso guardi il salto nelle orme di un allosauro e quello, identico, nelle orme dell’altro. I due sono al passo con l’apatosauro. Per il resto dell’inseguimento corrono tutte tre alla stessa andatura. Gli allosauri sono pronti per il balzo.”

Non prestava più attenzione all’ascoltatore, tutto preso ancora una volta dal dramma dei fossili. La vita inseguita dalla morte. Esperienza comune a tutte le creature. Ma quando succedeva realmente, era sempre una sorpresa.

— L’apatosauro non poteva batterli in velocità? Ci sarebbe riuscito, se avesse potuto cambiare velocità in fretta. Ma una creatura così grossa non può accelerare con la stessa rapidità degli allosauri. Perciò può solo girarsi… qui, dove le tre serie di orme convergono… e combattere.

Premette due volte il tasto destro del mouse e allargò la scena sullo schermo.

— Ora diventa interessante. Osservi come sono confuse le orme; tutti quei punti calpestati, tutto quel fango smosso. Ecco perché questo fossile è unico: è la registrazione reale del combattimento. Guardi le orme, centinaia, dove l’apatosauro lotta con gli assalitori. Vede quanto sono profonde queste coppie d’impronte? Ancora non ho calcolato l’ergonomia, ma è possibile che la bestia si sollevi sulle zampe posteriori e poi si lasci cadere, nel tentativo di schiacciare gli aggressori. Se riesce a sfruttare il suo enorme peso, può ancora vincere la battaglia.

“Purtroppo per la nostra amica, non ci riesce. Qui, dove il fango è tutto schiacciato, cade la povera Patty. E lascia una bella impronta del corpo. Questo segno e quest’altro sono decisamente colpi di coda. È una creatura coraggiosa, Patty. Ma ormai la sua sorte è segnata, anche se la lotta si protrae a lungo. Una volta a terra, l’apatosauro non può più fare niente. Quei mostri non le permetteranno di rialzarsi.”

Zumò in avanti, mostrando altro fango indurito che un tempo era la riva dell’antico lago. La pista era lunga in tutto più di seicento metri. Al pensiero del lavoro occorso per portarla alla luce, Leyster sentiva ancora male alla schiena. Estrarre campioni significativi per i primi due terzi, saltare dei tratti ed estrarre altri campioni, tanto che alla fine si erano lasciati prendere dall’entusiasmo: avevano dovuto portare alla luce tutta la maledetta pista e poi, fatte le foto e prese le misure, ricoprirla con strati di Paleomat e di sabbia sterile per proteggerla dalla pioggia e dalla neve e dai cercatori di fossili da rivendere.

— E poi, qui… — Senza volerlo, alzò la voce, perché quella era la parte più entusiasmante. Adorava gli enigmi scientifici e quella pista era la madre di tutti i rompicapi. Oltre alle orme di allosauro c’erano tracce di predatori secondari: uccelli, dinosauri più piccoli, persino qualche mammifero, mischiate e sovrapposte, in tale abbondanza da far dubitare della possibilità di districarle. Aveva accettato di buon grado la sfida. Non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. — Qui la nostra sfortunata Patty muore ed è divorata dagli allosauri.

“La cosa incredibile, però, è che alcune ossa, disseminate qua e là, sono state premute nel fango tanto profondamente da lasciare impronte ben definite. Abbiamo fatto calchi di gomma: un’ulna, parti di un femore, tre vertebre, quanto basta a un’identificazione certa. La prima identificazione diretta, non deduttiva, dell’impronta di un dinosauro!”

— Questo spiega come mai sa che è un apatosauro. E gli allosauri?

Leyster sorrise e ingrandì l’immagine fino ad avere in primo piano il calco di una vertebra. Con un doppio clic sul tasto sinistro cambiò da positiva a negativa l’immagine dell’impronta dell’osso. — Se guarda attentamente, nell’osso è conficcato un dente spezzato di allosauro. Uno dei cattivi l’ha perso, durante l’attacco o mentre azzannava il cadavere.

Le mani enormi applaudirono piano, in modo beffardo. — Sbalorditivo — disse Griffin. Tra la parola e il modo di dirla c’era una sorta di sconnessione. Come un attore in una scena di morte. Griffin dava l’impressione di sapere già tutto. Era, capì Leyster con sorpresa, annoiato. Annoiato! Come poteva annoiarsi, una persona abbastanza intelligente da seguire la sua spiegazione? Con noncuranza, Griffin disse: — Senza dubbio ne tirerà fuori un libro.

— È già un libro, migliore di qualsiasi altro! — replicò Leyster. — Non c’è mai stato niente di simile. Lo studierò per anni e anni.

Aveva consultato allevatori che avevano perso capi di bestiame uccisi da lupi e puma e che conoscevano bene i segni lasciati dai predatori. Un suo amico nel National Museum of the American Indian gli aveva promesso di metterlo in contatto con una guida professionista, una navajo che sosteneva dì poter seguire le tracce di una trota nell’acqua o di un falco nelle nubi. Chissà quante informazioni si potevano ancora ottenere da quell’unico campione.

— Mi permetta di dirle una cosa. Quando ho fatto questa scoperta, quando ho capito per la prima volta cosa avevo tra le mani, ho vissuto il momento più profondo della mia vita. — Era accaduto sulla Burning Woman Ridge, con le montagne da una parte, gli aridi terreni agricoli dall’altra e in alto il cielo più caldo e azzurro di tutto il creato. Aveva sentito svanire ogni cosa, l’allegro chiacchiericcio della sua squadra, il raspare di vanghe nel terreno, ed era rimasto da solo, in una specie di sacrale immobilità. Non un rumore, non un movimento, neppure un alito d’aria. Aveva percepito la presenza di Dio. — Ho pensato che questa scoperta, da sola, giustifica la mia esistenza sulla Terra. E vuole che ci rinunci? Oh, no. Penso proprio di no.

— Al contrario — disse Griffin. — Sul valore della sua scoperta ho un’idea molto più chiara della sua. E quello che le offro è meglio. Molto meglio.

— Con tutto il rispetto, signor Griffin…

Griffin alzò le mani, palme in avanti. — La prego. Ascolti, prima.

— E va bene.

Nella stanza non c’era nessun altro. Griffin, una volta entrato, aveva chiuso la porta; tuttavia, prima di parlare, si guardò lentamente intorno. Poi si schiarì la gola, si scusò e disse: — Preciserò subito i termini contrattuali, solo per risparmiarmi la scocciatura più tardi. Lei manterrà l’attuale incarico, ma saranno presi accordi per averla in prestito per un totale di sei mesi all’anno. Rimarrà sul libro paga del governo, quindi non avrà aumenti di stipendio, purtroppo. Mi spiace.

Si diverte, pensò Leyster. La scienza lo annoia a morte, ma un avversario da battere lo riporta in vita. Di solito Leyster non trovava molto interessanti le persone, ma Griffin era diverso. Ne studiò i lineamenti impassibili, cercò un punto di accesso, un inizio di comprensione, il minimo indizio su…

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